giovedì 1 luglio 2010

Golfo del Messico: marea nera sempre più minacciosa e inarrestabile


Nel Golfo del Messico è ancora crisi piena per quella che è considerata una delle più gravi tragedie ambientali ed umane degli ultimi anni. La “marea nera”, causata dall’esplosione della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” della Brithish Petroleum (BP), costata la vita ad undici persone, continua la sua avanzata inarrestabile al largo delle coste meridionali degli Stati Uniti, non risparmiando nulla al suo passaggio. Tutti i tentativi fatti sino ad oggi di arrestare la sua corsa vertiginosa non hanno prodotto alcun effetto e alla tragedia si intrecciano adesso le polemiche, relative alla lenta reazione tanto della BP quanto del Governo americano. A ben guardare, infatti, dal 20 aprile, giorno dell’incidente, poco o nulla è cambiato, anzi la situazione sembra essersi addirittura aggravata con il petrolio che si sta minacciosamente avvicinando al delta del Mississippi.

Una situazione paradossale ed allarmante che sta scatenando una valanga di dure reazioni contro la compagnia responsabile dell’incidente e l’entourage americano, sempre più impotente. A nulla è servita l’ultima visita lampo del presidente Barack Obama, mentre cresce la preoccupazione della popolazione locale e della comunità internazionale. A più di due mesi dall’incidente sembra che a lievitare siano stati soli i costi per la bonifica delle aree colpite, circa 50 miliardi di dollari, mentre nulla si sa dell’effettivo numero di barili fuoriusciti che continuano a riversare l’oro nero in mare. Solo di recente, infatti, l’amministratore delegato della BP, Tony Hayward, ha assicurato il Congresso americano e il mondo intero che la sua compagnia sarà in grado di “pompare tra i 60 e gli 80 mila barili di petrolio” entro luglio, mentre solo qualche giorno prima si parlava di “appena” 5.000 barili: uno salto notevole e inquietante.

Nel frattempo cominciano anche a delinearsi in maniera più chiara le responsabilità della BP. Secondo una notizia riportata da Bloomberg, la BP aveva già cercato a febbraio, ovvero due mesi prima dell’incidente, di chiudere alcune crepe apertesi nel pozzo di Macondo, operazioni che non portarono ai risultati sperati. Quando altre aperture nella roccia circostante cominciarono a complicare le operazioni la preoccupazione principale fu di estrarre quanto più gregge possibile ad ogni costo. Di qui il disastro che la BP ha cercato sino all’ultimo di tener segreto, non curandosi dell’incolumità dei suoi dipendenti e della salvaguardia di un intero ecosistema.

Cosa c’è da aspettarsi adesso?

Secondo un inchiesta del “Guardian”, se tutti i tentavi messi in campo per arginare la marea nera non andranno a buon fine, il pozzo continuerà a riversare in mare il petrolio per altri due, forse quattro, anni. Per quanto concerne i danni, le ipotesi sono devastanti, visto che il pozzo ha una riserva di 50 milioni di barili. E adesso a complicare il tutto ci si è messo anche l’arrivo della tempesta tropicale Alex che, a breve, dovrebbe arrivare nell’estremità sud del Golfo del Messico.

Insomma piove sul bagnato e intanto la marea avanza.

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