martedì 21 luglio 2020

Sei convinto che il tuo capo ti abbiamo licenziato senza un valido motivo, scopri come fare

Lavorare come dipendente ha sicuramente aspetti positivi e negativi. Da un lato, si ha la certezza di doversi occupare solo di quello attinente alla propria figura professionale, senza occuparsi di gestione economica o finanziaria e di altri aspetti dell'azienda, che toccano al capo o al dirigente specifico.

Dall'altro lato, molti dipendenti sono notevolmente stressati a causa di comportamenti sbagliati ed eccessivamente pressanti dei propri capi, probabilmente dovuti all'eccesso di potere decisionale e lavorativo che hanno, che li pone in una situazione di superiorità verso i propri dipendenti.

Un datore di lavoro può decidere cosa far fare ai propri dipendenti, deve programmare i turni, può adottare comportamenti a volte anche severi (sempre nel rispetto nei limiti), può decidere di licenziare un proprio dipendente.

E' proprio riguardo quest'ultimo aspetto che si scatenano la maggior parte delle cause riguardanti il mondo del lavoro. Sei stato licenziato senza un valido motivo, senza giusta causa? Puoi assolutamente procedere per vie legali.

Vediamo come fare nel dettaglio.

Il licenziamento senza giusta causa
In Italia il licenziamento senza giusta causa, ovvero senza un motivo valido, preciso e ben giustificato non è assolutamente consentito. Per procedere ad un licenziamento di un proprio dipendente bisogna avere una spiegazione valida, come per esempio continui ritardi, assenze non giustificate, scarsa produttività ed impegno lavorativo ecc

La legge italiana, infatti, consente di licenziare un dipendente, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, soltanto per motivi comportamentali o per gravi crisi economiche dell'azienda. E' molto frequente sentire al telegiornale di operai licenziati perché l'azienda è in crisi e non può più pagare gli stipendi. In questi casi, però, lo Stato interverrà aiutando i dipendenti con appositi ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione o la Naspi.

In caso contrario, ovvero per un licenziamento senza valido motivo, il capo sta attuando un vero e proprio atto discriminatorio e il dipendente può procedere in vie legali, dove potrà ottenere un cospicuo risarcimento per il torto subito.

Ma come fare ad iniziare la pratica di contestazione del licenziamento per ottenere un risarcimento? Scopriamolo di seguito.

Come ottenere un risarcimento per un licenziamento non giusto
La prima cosa da fare è affidarsi ad esperti avvocati, soprattutto se si occupano nel dettaglio del mondo del lavoro. Se sei di Brescia o di paesi limitrofi, l'avvocato del lavoro Simona Micotti può fare al caso tuo, con tutte le informazioni, comprese quelle di contatto, riscontrabili sul sito www.dirittolavorobrescia.it.
Successivamente a ciò, bisogna seguire vari aspetti per la contestazione, con precisi vincoli temporali.


  • fase stragiudiziale, ovvero entro 60 giorni dalla ricevuta della lettera di licenziamento presso il proprio domicilio, bisogna impugnarlo, anche tramite un avvocato, tramite una raccomandata;
  • fase giudiziale, ovvero entro e non oltre i 180 giorni dall'impugnatura bisogna trasmettere il tutto al tribunale regionale di competenza.

Cosa succede dopo queste due fasi? Si inizierà la causa, ed il risultato non sempre è scontato. Bisogna fortemente dimostrare che si è stati licenziati senza valido motivo, senza aver avuto comportamenti sbagliato o aver svolto attività al di fuori del proprio contratto scritto.
Il tribunale poi valuterà anche le caratteristiche dell'ambiente lavorativo e la tesi difensiva proposta dal capo o dirigente.

Se la causa viene vinta, e quindi viene confermato il licenziamento senza giusta causa, il risarcimento non è fisso come quantità, ma varierà in base a vari aspetti:


  • per aziende con meno di 15 dipendenti, si riceverà un'indennità che ricopre dai due mesi e mezzo fino ai sei mesi, basandosi sull'importo dell'ultimo stipendio ricevuto;
  • per aziende con più di 15 dipendenti il discorso è particolarmente complicato, per motivi lievi e comunque leggermente in torto anche del dipendente licenziato, il tribunale può obbligare il datore di lavoro al reintegro del dipendente, pagando tutte le indennità arretrate, mentre per assenza totale di validi motivi, il lavoro terminerà del tutto e il datore dovrà ripagare dalle 12 alle 24 mensilità di stipendio come indennità al licenziato, con importo uguale a quello dell'ultima busta paga ricevuta.

Problemi con il tuo titolare che non vuole pagarti la buona uscita dopo averti licenziato? Scopriamo cosa fare

Lo Statuto dei Lavoratori (Legge N. 300 del 20 Maggio 1970) fa riferimento alla Legge 604/66 in materia di licenziamenti per regolare i vari casi.
Quando un lavoratore viene licenziato, qualsiasi sia la causa, ha diritto che gli venga versato il TFR, cioè il Trattamento di Fine Rapporto chiamato anche buona uscita, o liquidazione.

Che cos'è il TFR


Il Trattamento di Fine Rapporto è una somma accantonata dal datore di lavoro, durante tutto il rapporto lavorativo, per il dipendente. A fine del rapporto lavorativo, anche in caso di licenziamento, questa somma deve essere data al lavoratore. Purtroppo non sempre i titolari vogliono pagare la buona uscita, segno che, per un motivo e per un altro, non hanno accantonato questa cifra, causando problemi all'ex dipendente in quanto si lede un suo diritto.

Per i dipendenti del settore pubblico, è possibile che l'attesa necessaria a ricevere la prima rata della buona uscita, possa arrivare anche a 27 mesi. Nel caso del settore privato è quasi contestuale, con un attesa di poco più di un mese, solitamente, in base al CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) di appartenenza.

Alcuni contratti lo pagano con la prima busta paga, dopo la fine del rapporto lavorativo, alcuni altri dopo 30 giorni e altri dopo 45 giorni. Notiamo quindi che le attese sono contenute in tempi brevi che si risolvono in un mese, un mese e mezzo circa.

È importante capire queste tempistiche, cioè sapere entro quanto la buona uscita deve essere versata, perchè il Codice Civile, in qualunque caso, prevede che venga pagata alla cessazione del rapporto lavorativo e che, in caso di ritardo, si ha diritto agli interessi mensili sulle somme non pagate.
Si perde il diritto alle somme che spettano, nel caso si lascino passare cinque anni da quando si termina il rapporto di lavoro. Il TFR infatti si prescrive entro cinque anni.


Cosa occorre fare


Per poter far valere i propri diritti, e poter farsi versare la buona uscita spettante, occorre rivolgersi a uno specialista del diritto sul lavoro: un giuslavorista. Un professionista quindi, con esperienza in questo campo specifico (diritto del lavoro), che possa seguire passo dopo passo il dipendente (o ex dipendente) che debba intraprendere un'azione legale per farsi dare quello che gli spetta.


Il primo passo che il giuslavorista compirà, è di redigere una lettera di messa in mora che verrà spedita al datore moroso, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o usando una pec. In questa lettera il dipendente chiede espressamente il pagamento del dovuto entro una specifica data, pena il rivolgersi per vie legali e rivalersi sulle spese sostenute, comprensivo d'interessi.


Dopo questo tempo il datore di lavoro non paga? Allora si passa per vie legali per ottenere un titolo esecutivo, per esempio un decreto ingiuntivo verso il datore di lavoro che non adempie al pagamento della buona uscita. Il decreto impone questo pagamento entro 40 giorni dalla sua comunicazione.

A questo punto, se il datore continua a fare orecchie da mercante, al dipendente non resta altro che procedere o al pignoramento per l'azienda; oppure alla sua dichiarazione di fallimento.
Se nonostante tutto ciò, non si è in grado di ricevere quello che spetta (mancanza di fondi) non ci si deve preoccupare. In questo caso, il giuslavorista, si rivolgerà all'INPS.
L'INPS può pagare il TFR (la buona uscita) avvalendosi del Fondo di Garanzia, in base a specifici requisiti:

  • Cessazione del rapporto di lavoro;
  • Verifica dello stato d’insolvenza con apertura della procedura concorsuale di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa o di amministrazione straordinaria;
  • Verifica dell’esistenza del credito a titolo di Tfr e/o delle ultime tre mensilità.



A chi rivolgersi



Se ti trovi nella Capitale Italiana o nella sua provincia, per essere certi di ottenere la migliore assistenza, occorre rivolgersi a un avvocato del diritto del lavoro a Roma. Tale figura dovrà possedere una grande esperienza in questa branca legislativa. Deve inoltre tenersi continuamente aggiornato (le leggi del mondo del lavoro evolvono) e seguire ogni causa con il massimo dell'impegno e della dedizione.

Senza indugi ci si può rivolgere a www.avvocatolavororoma.it dove troviamo un ambiente professionale con trent'anni di esperienza nel campo della difesa dei diritti dei lavoratori, facendone la propria specializzazione.

Si avvalgono di un team di avvocati che hanno assistito lavoratori di grandi realtà industriali italiane e dei maggiori enti pubblici, con successo in varie contestazioni: dal diritto del lavoro, alla previdenza sociale, diritto di famiglia e risarcimento dei danni.